24 mag 2009

BUON ANNIVERSARIO


VIAGGIO DI ANNIVERSARIO 2009


PER TRADIZIONE NOI ANDIAMO DUE O TRE GIORNI FUORI VENEZIA, OGNI ANNIVERSARIO.
QUEST’ANNO TOCCAVA PROPRIO DI PASQUA.
NON E’ IL MASSIMO ANDARE A CASO IN CERCA DI UN BEL POSTO ROMANTICO, QUANDO TUTTI SI MUOVONO.
PURE, VISTO CHE SIAMO IN PIENA CRISI E TUTTI I GIORNALI DI TELE O DI CARTA DICONO CHE AL PIU’ LA GENTE FA PICNIC AL SACCO, VISTO ANCHE CHE IL TERREMOTO TIENE, CHI NON E’ NELLA POLITICA ATTIVA, LONTANO DAI LUOGHI CHE TREMANO, NOI ABBIAMO TROVATO UN POSTICINO CHE NON TREMASSE TROPPO E CHE NON FOSSE TROPPO ‘PASQUALE’.
IL POSTO, URBANIA, DOVE VOLEVO FARE UN CORSO DI CERAMICA, MEGLIO ANDARE A CURIOSARE PRIMA DI ISCRIVERSI A SCUOLA.
LA SIGNORINA TONTON HA DIMOSTRATO UNA VOLTA DI PIU CHE LE MONTAGNE NON LE PIACCIONO E SUI TORNANTI LE GIRA LA TESTA E DOPO UN POCO NON VEDE PIU NIENTE , SI ESALTA E COMINCIA A DARE I SUOI SOLITI ORDINI ANGOSCIATI : -TORNATE INDIETRO APPENA POTETE-, O –TENETE LA DESTRA, IN UNA STRADA STRETTA CHE QUASI NON CI PASSI E POI, - VOLTATE A DESTRA- PERCHE’ MAI VUOLE FARCI PRECIPITARE IN UN TORRENTE DALLE SCOSCESE E PROFONDE RIVE ?
ROD COMINCIA A DIRE CHE UNA GUIDA SIMILE E’ PERICOLOSA ED E’ MEGLIO SPEGNERE, PERCHE’ NON VORREBBE CHE IO SEGUISSI DISTRATTAMENTE TALI INVITI. IO DICO CHE E’ UTILE E DIVERTENTE , TI FA GUARDARE CON TANTA INTENSITA’ PER VEDERE DOVE MAI POTRESTI VOLTARE A DESTRA E NON TI ADDORMENTI DI SICURO.
PERO ‘ IN TERRITORIO NON IMPERVIO CI CONDUCE DRITTA ALL’INDIRIZZO DELL’ALBERGO TROVATO IN UN DEPLIAN, E LA COSA FUNZIONA.
SIAMO CAPITATI IN ZONA DI TARTUFI, E SCOPRIAMO CHE I TARTUFI NON SONO SOLO BIANCHI E NERI, MA ANCHE BIANCHETTI E BRUNI E CHE SE NE TROVANO IN TUTTI I MESI DELL ‘ANNO, COSI’ SAPPIAMO COSA SI PUO GUSTARE.
TRA MUSEI, MOSTRE, ACQUISTI DI CERAMICHE E DI GIOCHI PER QUANDO LILI SARA GRANDE, ABBIAMO VISTO UN SACCO DI BELLE COSE COMPRESA LA GOLA DEL FURLO CHE CONOSCEVAMO SOLO DI NOME
RITORNATI A VE IL LUNEDI DI PASQUA : UNA VIA CRUCIS PER TROVARE UN RISTORANTE, TUTTI COMPLETAMENTE PRENOTATI.
QUANDO ALLE 14 AVEVAMO DECISO DI NON TENTARE PIU VEDIAMO UN BEL LOCALINO CON DUE SIGNORI STESI IN SDRAIO A FARE LA SIESTA, DUE O TRE MACCHINE SOLE E MIRACOLO, NUOVA GESTIONE, DUE DONNE GENTILISSIME UN BEL GATTONE E UNA CUCINA DA TOGLIERSI IL CAPPELLO, SPESA CONTENUTA E SI SONO SCUSATI PERCHE’ ORMAI NON C’ERANO PIU I PIATTI ALLA GRIGLIA. MA ANCHE L’ANGUILLA IN BRODETTO ERA OTTIMA ,

SONO PASSATI 40 GIORNI ED ECCO LA SORPRESA :
SONO A LETTO MALATA E SUONA IL POSTINO, DEVE CONSEGNARMI UNA RACCOMANDATA, SE HO L’ASCENSORE MI FA IL FAVORE DI SALIRE, … UNA MULTA DAL COMUNE DI RONCOFREDDO.
IL VERBALE NUMERO 1028034/09 DICE CHE PROCEDENDO IL GIORNO 9-4 ALLE ORE 16 :09 ECCEDENDO DI Km 2 IL LIMITE MASSIMO IMPOSTO DI 90 Km/h NELLA STRADA E45 DEVO PAGARE LA SOMMA DI EURO 38 CHE DIVENTANO 50,30 CON LE SPESE POSTALI.
GUARDALO QUESTO MICRO COMUNE MONTANO, SITUATO SU UN COCUZZOLO LONTANO UNA VENTINA DI Km DALLA SUDDETTA STRADA, UN COMUNE DI 2819 ABITANTI, CHE HA SCOPERTO DI AVERE UNO SBRINDOLETTO DI TERRITORIO PROPRIO DOVE PASSA LA SUPERSTRADA CESENA –ROMA E QUI AL KM 208,630 HA POSTO LA SUA INFERNALE VELOMATIC . E’ LA SUA FORTUNA IN TEMPI DI VACCHE MAGRE. IN POCHI MESI IL COSTO DELLA MACCHINETTA SI AMMORTIZZA DI CERTO.
NELLA GENTILE MISSIVA SI SCUSA PER NON EFFETTUARE LA CONTESTAZIONE IMMEDIATA DELL’ILLECITO IN QUANTO L’APPARECCHIO E’ POSTO A DISTANZA CHE NON PERMETTE DI FERMARE IL VEICOLO NEI MODI REGOLAMENTARI.
PRATICAMENTE I VIGILI URBANI SVILUPPANO IL RULLINO QUANDO POSSONO, E SE VUOI CONTESTARE DEVI ARRAMPICARTI PER STRADINE INCREDIBILI ED ARRIVARE IN QUESTO BUCO DEL MONDO DOVE L’UNICO VIGILE URBANO, KATIA, STA IN UFFICIO SOLO MARTEDI GIOVEDI E SABATO DALLE 10,30 ALLE 12,30.
MA IL TONTON PERCHE’ NON HA FATTO SEGNO ?

19 mag 2009

Allarmi

La casa era grande, tre appartamenti sovrapposti, piu cantine e soffitte. Ogni famiglia aveva il suo, giardino. Anche le case attorno erano abitate da una o piu famiglie con alcuni bambini o ragazzi, e la strada nelle ore di luce era un grande campo di gioco comune.
Non era pericoloso perché in tutto il lido fino alla fine della guerra esistevano quattro carrozze a cavalli, una o forse due auto pubbliche e la moto del dottor Balarin. La strada era ideale per andare in bici, per giocare a calcio, a nascondersi, a boalta, ai quattro cantoni, al nonno cocon, all’ultimo libera tutti, ma il piu bello perche coinvolgeva dai piccolissimi ai liceali era guardia e ladri. Adri era spesso l’animatrice di queste interminabili partite che terminavano coi richiami dell’ora di cena.
Allora qualcuno diceva: -Speriamo che suoni l’allarme che ci troviamo in cantina.-
Il papà aveva rafforzato la nostra cantina con travi di legno e sacchi di sabbia perché non voleva che andassimo nel rifugio collettivo. Temeva che in caso di una bomba che ostruisse l’uscita o per momenti di panico si corresse un pericolo maggiore. Di notte anche i vicini preferivano questo piccolo rifugio: c’erano delle sedie e delle damigiane, sulle sedie sedevano le mamme e le damigiane erano per noi bambini. Al suono della sirena, venivamo svegliati, in inverno indossavamo calze e pantofole, golf e cappotti, e tenendo protetta con la mano la fiamma di una candela, scendevamo in cantina.
Le mamme pregavano, mentre noi giocavamo e chiacchieravamo, qualcuno racontava anche delle storie, era bellissimo. A volte la sirena del cessato allarme ci coglieva gia addormentati e i genitori ci portavano a letto in braccio. Io speravo che un giorno qualcuno si sbagliasse e si sarebbe andati tutti a dormire assieme, e forse si poteva diventare una unica grossa famiglia ; avrei finalmente potuto dividere il letto e i segreti con Mita che aveva solo un anno piu di me.
Durante la guerra non si potevano accendere le luci e tutte le finestre erano oscurate da carta blu o da tele blu che venivano appese ogni sera, al tramonto, perché gli aerei non scorgessero le luci e bombardassero le case.
Anche per la strada non c’erano luci, certe lampadine sotto i piatti di ferro erano pitturate di blu che quasi non si vedevano. Era frequente restare al buio per l’oscuramento, per danni alla rete elettrica, le scale erano al buio anche di giorno per i vetri oscurati.
Presto imparai a contare, procedendo a braccia tese per afferrare la ringhiera: dal portone sei passi ma un poco a sinistra per arrivare alla prima rampa breve, il corrimano troppo alto che si incurvava per ‘eleganza’. Non si era mai sicuri di essere arrivati giusti: a destra c’era la scala della cantina senza ringhiera, un buco in cui avevo il terrore di precipitare. Cinque scaalini poi quattro scalini, poi otto poi uno, poi ancora uno, dove c’erano le piante che avevano solo foglie verdi, poi altri otto. Poi bisognava lasciare laringhiera e buttarsi due o tre passi avanti e bussare alla porta di casa.
Vincere la paura del buio era importante per giocare coi grandi.
Quando seppero che non avevo piu tanta paura profittarono per appiopparmi alcuni doveri; andare a prendere la posta, recuperare una cosa caduta dalla finestra, chiedere un favore alla vicina.
L’ultimo anno di guerra Francesco ed io andavamo quasi ogni pomeriggio a giocare dai cugini che per la guerra erano venuti via da Monfalcone e così avevano compagnia. A volte venivano loro da noi, ma i fratelli grandi che studiavano si sentivano disturbati dai nostri giochi.
Nelle sere d’inverno, il buio era tanto che quando andavamo coi fratelli maggiori in strada il buio era totale e se non c’era la luna si dovevano contare gli alberi, o toccare le recinzioni dei giardini per sapere a che punto si era della strada.
A volte avevamo il permesso di usare le torce a dinamo, che funzionavano con una cremagliera che faceva girare un meccanismo e produceva una piccolissima luce, accompagnata da un rumore: ghssz, ghszz, ghssz. Nelle sere di nebbia era bellissimo, pareva di essere completamente ciechi e di essere perduti, chiusi dentro l’alone di luce della dinamo. Dagli Stacul si facevano belle merende, la loro mamma Lidia faceva il pane e aveva la farina bianca e burro e in cantina molte salsicce che noi neanche ci sognavamo.
La maestra che aveva la mania dei proverbi ci spiegò ‘ Ci sono più giorni che luganega” ed io che la contraddicevo ogni volta che potevo, dissi; - No! In casa Stacul ci sono più luganeghe che giorni.-
Per questo presi una sgridata terribile: avevo sei anni e non sapevo niente di quanto era proibito in tempo di guerra. La maestra lo riferí alla mamma e alla mamma di Marina- e mi predicarono che ero chiacchierona e potevo essere causa di grossi guai, che qualcuno facesse la spia, tutto il cibo prodotto doveva essere consegnato all’ammasso . Io capivo poco tutti questi misteri, mi portarono ad esempio una bambina che mi pareva stupida e che qualsiasi cosa le chiedessero persone che non fossero i genitori , diceva “non so”, e così non metteva in pericolo la vita dei familiari.
In quegli anni duri c’erano infatti persone nascoste in certe case, cosî saper mentire era diventata una virtu
.

18 mag 2009

Francesco

Francesco era nato il 10 di gennaio 1941. La mamma raccontava che tutta la notte suonarono le sirene degli allarmi, poi il bombardamento di Treviso, la laguna illuminata da palloni luminosi e da fuochi di guerra. I rumori degli aerei e gli scoppi lontani. Intanto in casa gli adulti erano svegli per l’inizio del parto. In me si sommarono sensazioni confuse, di pericolo, di gioia, di ansia; non capivo cosa succedesse, dagli adulti mi giungevano segnali contradditori ed allarmanti. Cosí quando il fratellino nuovo fu presentato a tutti noi, io rimasi in preda al panico, non vidi che bianco. Avevo due anni e nove mesi.
Ero amata coccolata e centro dell’attenzione di tutti, iniziai a sentire gelosia e paura nei confronti di Francesco. Mi regalarono un bambolo grande come lui, lo chiamai Frangello, come tutti i maschi di casa iniziava con ‘F’ Gli prodigai tutte le cure materne che vedevo praticare al fratello, e coi lavaggi vigorosi anche la cartapesta della testa di Frangello iniziò a screpolarsi e a manifestare qualcosa di molto simile alla crosta lattea di Francesco.
Un giorno Frangello morì e lo sepellii nell’orto. Iniziai ad avere degli incubi notturni: campanellini d’argento annunciavano l’arrivo di scheletrini fosforescenti, come quelli dei libri di scienze dei fratelli, ed erano tanti e tanti, tutti in fila correvano tintinnando come il sonaglio della culla di Francesco, venivano per picchiarmi. Mi svegliavo dalla paura e Aurelia, che aveva dieci undici anni, mi prendeva nel suo letto, mi faceva parlare della cosa spaventosa “i CECHI” e mi calmava . Anche di giorno avevo paura degli scheletri del sogno e nessuno poteva nominare “ciechi” o “Cecco”o "Cecio" come chiamavano Francesco, perché mi prendeva il panico.
La gelosia per Francesco mi fece soffrire a lungo, lui mangiava delle pappe diverse da me, lui era il cocco di Anita, la donna di servizio, cresceva e mi pareva godesse di privilegi esagerati, sopra tutto mi seccava che lui fosse assolto di ogni colpa commessa assieme, per il fatto di essere più piccolo di me. Giocando assieme ci accadeva di litigare e lui mi afferrava per i capelli, avevo un fiocco in testa che legava un bel ciuffo al centro della testa e nelle liti diventava un pratico manico con cui lui mi tirava la testa. Io lo afferravo per le due orecchie che parevano i manici di una pignatta, e ci scrollavamo violentemente. A volte lui mi mordeva, forse lo facevo anch’io, ma ricordo un suo morso ad un braccio, mi colo' del sangue che usciva dalla manica del grembiule fino alla mano. Corsi a mostrarlo alla mamma decisa ad avere giustizia, ma lei ci mise in castigo entrambi. Ogni volta che litigavamo ci veniva raccontato che Aurelia e Franco da piccoli non si picchiavano mai, al più si mostravano i pugni chiusi e poi si voltavano le spalle e piangevano . Loro giocavano a “Gino e Maria” i genitori, noi giocavamo a battaglie, a navi di bucce d’arancia, a palline di fragna soldati, a ‘cimbali’; tutto finiva a botte! Eravamo in tempo di guerra.
Visto che non era conveniente prendere castighi, da più grandi imparammo a dire che non stavamo litigando, ma che facevamo la lotta e questo fu l’inizio di una sempre più stretta solidarietà fra noi, che ci difendeva dai grandi e ci apriva delle opportunità di emancipazione.

17 mag 2009

io -infanzia

L’infanzia
1938, sono nata il 21 aprile, il sole entrava nella costellazione del Toro, segno di terra, e forse per questo sono rimasta sempre terra terra nelle mie realizzazioni. Sono nata all’alba delle cinque.
La mamma aveva già sei figli, i più piccoli, Franco di sei anni ed Aurelia di sette. Il travaglio fu breve e nacqui velocemente, lei disse che ad ogni figlio che le nasceva il travaglio era stato sempre più rapido, tanto da rischiare di farci nascere per strada.
Le nascite per lei furono sempre una festa, pure se i figli erano già tanti, pure se lo stipendio uno solo; solo la gravidanza avuta tra Franco e me, che s’interruppe spontaneamente, fu per lei una dura prova di dolore, di depressione, di fatica e di debilitazione, un ricordo vivo quando ne parló decine di anni dopo.
Nascere in aprile, nascere col sole, con la primavera, dà una spinta vitale che non si perde più.
I fratelli già grandi sentirono il mio arrivo come un dono per loro, una possibilità di sperimentare le prime cure, tenere tra le braccia un cucciolo d’uomo, cambiarmi, lavarmi, aiutare la mamma nelle mille cose che un neonato richiede, e poi sempre fui la bambola di maschi e femmine di casa. Mi imboccarono, mi insegnarono a cammnare, a parlare, a giocare, a fare ginnastica, a correre e perfino a nuotare. Ero coinvolta nella loro vita e imparavo le cose senza sforzo, per il gioco di vivere che essi mi insegnavano, erano sei genitori piuttosto rudi ed inesperti ma divertenti.
Per questo motivo imparai a leggere e scrivere a quattro anni, perché volevo fare i compiti come i fratelli; farmi leggere i libri di scuola, le scienze, le poesie, era la mia gioia e loro imparavano meglio insegnandomi quello che appena cominciavano a sapere.
Il ricordo più antico che ho è una sensazione di benessere del mio corpo morbidamente accolto dalle braccia di mia mamma, in una luce fortissima, forse in estate sulla spiaggia, io sono molto piccola e la mia testa e' all'ombra del grande cappello di tela bianca. La mamma in estate usava per sé e per noi dei cappelli di piquè bianco, con la cupola a spicchi e la grande ala inamidata, che riparava dal sole di luglio.
Il secondo ricordo è lo stesso bianco. Un grande bianco come una nuvola, che fui costretta a guardare. Tutti attorno erano eccitati e qualcuno mi afferrò alla vita e mi tenne sospesa sopra quella nuvola di veli bianchi, e mi gridavano ‘el fradeeto, varda el fradeeto’ ed io ebbi angoscia e paura. Non vidi che il bianco accecante, non sentii che la pericolosa posizione in cui ero tenuta sospesa, su quel bianco che era come un baratro; tutta l’eccitazione della casa fu segno di pericolo: Era nato Francesco.